il 51% dei quindicenni non comprende un testo. La capacità d’attenzione media è di 9 secondi, quella di un pesce rosso è di 12. Allarme futuro della Nazione.

Cultura Politica

                                      

La società, l’economia, la psicologia delle masse, la tecnologia, l’umanità intera, è in continua trasformazione, e di conseguenza anche il lavoro è in continuo mutamento nelle sue dinamiche e nei suoi principi. 

Oggi giorno si può affermare che la super specializzazione richiesta, la competizione sui mercati globali, la scarsità di risorse a disposizione e l’elevata competitività per l’iper-abbondanza di offerta, non lasciano scampo all’improvvisazione e ad altre patologie che riguardano il lavoro negli ultimi anni. E se consideriamo inoltre che il 40% dei nati nell’ultimo millennio, al centro sud e il 20% al nord, oggi, non studia e non lavora, che il 51% dei quindicenni in Italia non è capace di comprendere un testo, fonte Save the Children, e che il 35 % dei lavori di oggi tra 25 anni, non esisterà più, perché soppiantato da computer o macchine, lo scenario è oltremodo allarmante.

Ma analizziamo anche i non giovanissimi.

Un altro studio italiano fatto da Indeed, ha evidenziato che oggi il 46% dei dipendenti italiani sta valutando un cambiamento lavorativo, cioè un dipendente su due. Un dato che ha conseguenze dirette su produttività e stabilità delle aziende, ma anche sulla precarietà e serenità dei cittadini.

 Uno studio americano, compiuto su un campione di 50 mila lavoratori, a cui è stato chiesto di mettere in ordine d’ importanza, da 1 a 10, gli aspetti più importanti ricercati in un impiego, ha evidenziato che la retribuzione si è posizionata solo al sesto posto. Ai primi posti invece, si trovano il riconoscimento e l’accoglienza della persona, la possibilità di crescere e “vincere”, la valorizzazione della propria unicità, l’ambiente sereno, amichevole e stimolante e la formazione.

Le organizzazioni che hanno come naturale vocazione questa propensione, attirano talenti e persone più produttive e felici di lavorare. Chi disconosce tutto ciò e pensa che la retribuzione sia l’unica e la sola leva motivazionale è destinato ad avere un grande turn over e persone demotivate e ostili.

Ma di chi è la responsabilità di questo scenario generale? Io credo che il 25% sia attribuibile alle imprese, il 25% allo Stato e il 25% ai lavoratori e il 25% alle famiglie.

In linea generale si può affermare che oggi più che mai, siamo in presenza di una società che omologa, mercifica tutto tanto da esaltare più di ogni altra cosa, il prezzo a discapito invece del valore intrinseco , una società che iper stimola e distrae, grazie alle nuove tecnologie che, secondo uno studio fatto sui giovanissimi, non ci permettono di prestare attenzione per più di 9 secondi sulla medesima cosa, tempo addirittura inferiore a quello di un pesce rosso che invece riesce a soffermarsi sulla stessa cosa per più di 12 secondi. Questo disturbo si chiama deficit d’attenzione.

 Abbiamo una società che ci sospinge a continui confronti tra sé ed alcuni stili di vita ideali, che sono convenzionalmente esaltati, che spesso provocano sentimenti di inadeguatezza e frustrazione nell’individuo.

 Una società che premia la popolarità felice e apparentemente facile e nasconde e scomunica il sacrificio, il fallimento, una società che guarda al progresso come tendenza a dispensare diritti e a celare l’importanza dei doveri, una società che crea vite finte, infelici, non autentiche.
Oggi più che mai, la tipologia di lavoro che rende più appagante la vita di un individuo, si attua su un terreno in cui si collegano il significato del lavoro appunto, al significato della vita.

La nostra società è iperstimolante. La facilità d’accesso alle informazioni e alle risorse è incredibilmente cresciuta negli ultimi dieci anni. Ciò significa che siamo bombardati in continuazione di notifiche, messaggi, video, mail, link, telefonate, prodotti culturali. Non sappiamo come gestire tutta questa mole di informazioni, alcune volte anche di qualità e comunque, allineata con i nostri desideri e gusti. Il risultato è che presteremo sempre meno attenzione alle cose, perchè dovremo passare ad altro. Questo genera ansia e preoccupazioni, genera senso di frustrazione, ma anche una perdita di attenzione, focalizzazione, di passione e una perdita di capacità di elaborazione. Tutto e subito è la nuova parola d’ordine. il più semplice possibile perchè il cervello deve lavorare il meno possibile per fruire di tutto senza andare in tilt. Ecco quindi che la curiosità, scema. La curiosità infatti sorge quando dobbiamo, passo dopo passo, approfondire, cercare sempre più spunti ed elementi di un argomento. è un processo attivo, di stimolo sempre più definito. Oggi il processo è il contrario. Ci si sofferma poco e velocemente su una cosa, il tanto che basta per una superficiale dose di dati, per poi passare ad altro. Una volta si ricercava, oggi siamo ricercati da chi vuole aumentare visualizzazioni, clienti o possibili fun. Un processo deleterio per il genere umano.

Ciò si ripercuote anche sul lavoro nei giovanissimi.

In tutti i casi in cui il lavoro è slegato dalla sfera personale o è visto come semplice strumento per avere in cambio del denaro per vivere, l’uomo è destinato a soccombere e ad essere schiavo del lavoro. Tutte le volte in cui andiamo in apnea appena entriamo in un qualsiasi ufficio, e ci sciogliamo il nodo della cravatta respirando a pieni polmoni tutte le volte che usciamo dicendo, “ho finalmente finito di lavorare”, stiamo compiendo un gesto autolesionista che produce effetti dannosi in noi e nella società.

E’ ovvio che il lavoro ideale non si può molte volte avere, bisogna fare anche un’ elaborazione mentale che presupponga un’analisi e un cambio di prospettiva per apprezzare quel determinato impiego e per concedere a quel lavoro un significato più gratificante.

Bisogna quindi anche raggiungere una sorta di maturità interiore, di centralità, di forza che ci consentano anche di apprezzare le positività  del nostro lavoro  e di quello dei nostri colleghi 

Oggi invece, troviamo non più il silenzio ma il rumore, interno ed esterno. Principali promotori di tale cultura sono le famiglie, che spesso subiscono tali degenerazioni sociali. Troviamo l’ iper stimolazione e la conseguente incapacità di soffermarsi, di andare a fondo, di approfondire, di avere pazienza. Troviamo l’incapacità di rinunciare a qualcosa che garantisce immediata gratificazione e piacere, a discapito del sacrificio che consente invece di realizzare obiettivi più solidi, duraturi e appaganti.

Ognuno si sente un esperto su tutto e i social propongono amplificatori del proprio Ego. 

Individui e collettività sono indissolubili. Ogni esistenza, anche la più solitaria necessita di creare relazioni sane e armoniche con la collettività in cui realizzarsi e costruire qualcosa di significativo.  È  proprio questo che consente anche nel lavoro di renderci utili , sia a noi stessi , sia agli altri, in un progetto comune più importante perché, è come viene considerato il proprio ruolo, da sè e dagli altri, che fa la differenza.

Ognuno di noi, ha dentro la luce e il buio.  La superficialità dei nostri tempi, l ‘omologazione fa sì che tutti si fermino alla parte esteriore dell’individuo. E l’individuo tende come risposta a mostrare la parte più convenzionale, più ruvida, più diffidente, o socialmente accettata o tendente al modello desiderato. È questo crea scompensi e squilibri nella persona, nel lavoratore e nella società.
Anche nella persona più apparentemente insignificante, c’è un tesoro, c’è una ricchezza, c’è una bellezza, c’è una gemma che splende di luce propria e ogni individuo inconsciamente, non aspetta altro che qualcuno possa osservare e illuminare con il proprio sguardo non giudicante, questa gemma che splende. Quindi è corretto dire che il nostro fine è quello di realizzarci anche attraverso il lavoro? È corretto dire che è fortunato chi fa della propria passione il proprio lavoro? È corretto dire che bisogna tornare a rieducare i giovani al lavoro? La risposta è decisamente: sì.

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